Come imparare a prendersi il giusto tempo

Sarà stata la quarta volta che andavo al Vajont. Ancora non so trovare una spiegazione logica al mio attaccamento per quella valle, ma penso sia tutta una questione di soggezione: cercare di capire un disastro a partire dalle sue radici, dalle sue dimensioni, eppure rimanere ogni volta senza parole realizzando quanto sia indescrivibile l’accaduto. È difficile immaginarsele, quella frana e quell’onda d’acqua, mentre si muovono non curanti delle vite sotto di loro.
Ricordo che in quell’occasione incontrai Mauro Corona, lo scrittore della valle. Se ne stava a Erto, a fare la spola tra il bar e il suo studio.
Ricordo benissimo le poche parole che mi rivolse, le braccia appoggiate a un’enorme ascia che stava usando per spaccare la legna: «Ricorda, Emanuele, anche se non ricordo esattamente chi lo disse: la birra è come una scopata, non è con una che ne hai abbastanza».
Detto questo, un fugace saluto e ricominciò a spaccare legna come se niente fosse successo.
Per l’argomento di oggi voglio appropriarmi delle parole di Mauro, adattandole al mio scopo: «Scrivere è come una scopata (o una birra), non è facendo in fretta che godi».
Se per uno scrittore è importante mantenere un buon ritmo di produzione – pur sapendo quando fermarsi – l’identificazione del nemico è uno dei punti centrali della professione. Essa è presente in tutti noi, si dimena tra le sinapsi, ci controlla le dita, annebbia i pensieri. Si chiama fretta.
Personalmente, ammetto di esserne stato vittima più di una volta. Hai voglia di finire, di pubblicare, di dedicarti ad altro, e allora butti giù la prima cosa che ti viene in mente, senza renderti conto del tempo in più che perderai in fase di revisione; perché, lo so bene, lo schifo che hai scritto tanto per tracciare la parola ‘fine’ non si armonizza con tutto il resto. Spesso sarai costretto a riscriverlo, maledicendo in ostrogoto il momento in cui ti sei lasciato catturare da quella idea “del menga”.
E non pensare che il lettore non se ne accorga, non sottovalutarlo. La fretta di finire sbiadisce le parole rendendole sterili e inefficaci. È un cancro che colpisce anche i più esperti (editor compresi).
Come rimediare? Fermati e pensa a questa domanda: preferisco essere un comune picchia-tasti o uno scrittore?
A te la risposta.
Nel frattempo, puoi sempre farti dare il ritmo di battitura da Chopin.
E.
Se davvero hai voglia di scrivere, niente ti sarà d’impedimento. E forse potresti apprezzare questo mio vecchio articolo: 6 consigli per diventare uno scrittore.
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