Speciale

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Questo racconto non è nato da solo, ma grazie a questo incipit pubblicato da Domenico sul suo profilo Instagram @storierancio.

(soundtrack: TOOL – Vicarious)

Essere buoni genitori è questione di allenamento. La prima volta hai paura di tutto: ogni singolo evento è fonte di timore, ogni secondo che passa i nervi sono a un passo dallo sfilacciarsi in mille fibre tese al punto da spezzarsi a una a una scuotendoti il corpo in un terremoto. Sei apprensivo, troppo, impaurito che quella creaturina possa sfuggirti, rompersi, spegnersi da un momento all’altro. Dal secondo in poi ci prendi l’abitudine, le esperienze basilari sono ormai consolidate. Mantieni sempre l’occhio vigile, inutile negarlo, ma a grandi linee sai già cosa aspettarti anche se, come la prima volta, ogni giorno è una nuova scoperta.
Il momento fatidico arriva quando devi decidere come plasmare la tua creatura. La scelta più ovvia ricade nei valori in cui hai sempre creduto, ma li metti in discussione non appena assaggerai la loro messa in pratica. Allora sbatterai la testa contro un numero infinito di muri, metaforici e non, cercando di arrabattarti al meglio per superare gli ostacoli che si presentano man mano. L’unica certezza è una, ovvero che stai spendendo tutte le energie affinché la tua creatura cresca in modo tale da affrontare il mondo che la circonda. Tuttavia, nonostante i buoni intenti, sarai sempre sul punto di immergere il tuo piccolo in un’inscalfibile bolla di protezione, un piccolo mondo creato su misura in cui farlo sentire speciale e unico.

Essere genitori al tempo del “w, a, s, d” non è semplice, me ne rendo conto. Per questo motivo, sballottato come sono da un mondo all’altro, cerco di compiacerli seguendo i loro comandi tra mouse e tastiera. Salto, mi accovaccio, schivo i pericoli. La mia abilità nel farlo è pari alla loro destrezza e al loro intuito.
C’è un momento, però, in cui tutto diventa il contrario di tutto, in cui sento scattare in me qualcosa difficile da spiegare, come se una combinazione di tasti avesse dato vita a un che di sovrannaturale, una mescolanza di euforia e sicurezza che mi porta a non avere paura delle avversità. In molti la chiamerebbero adrenalina, e qui nel mio mondo è un valore da non trascurare. ‘Speciale’, ecco come si chiama, e quando mi investe è come se sentissi su di me tutte le speranze dei miei genitori, come se abbandonassero le proprie abilità per affidarmi al caso, una magia in grado di far svanire ogni ostacolo. Inutile dire che si sbagliano. Arriva un punto in cui ‘Speciale’ non è più sufficiente, benché si tratti di una condizione essenziale per giungere al compimento del mio cammino. Se solo gli sviluppatori avessero allegato una spiegazione di tutto ciò nelle istruzioni, in questo momento non starei temendo per la mia vita.
Ora, mentre attraverso il passo montano in cerca del trono del Signore Oscuro Trevask, mi sento stremato. I comandi non sono più fluidi, l’armatura di adamantio è troppo pesante, devo riposarmi di continuo. Convinti che bastasse farmi sentire speciale, i miei non hanno pensato a fornirmi le abilità necessarie per sopravvivere alle avversità ordinarie. Una volta giunto innanzi al Signore Oscuro, cadrò come hanno fatto in molti prima di me. Troppo tardi per tornare indietro, l’ultimo salvataggio è irreversibile. Il danno è fatto.

E.


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