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La moglie è in cucina. Mescola con cura una minestra di patate ancora troppo liquida perché possa aggiungere il suo tocco personale: un pizzico di curcuma e, una volta che questa si è sciolta, una grattata di pepe così da attivare la curcumina; un procedimento per conferire un po’ di colore e che avrebbe reso il piatto più salutare, almeno stando a quanto letto la sera prima su Facebook.
In sala, a un soffio dall’uscio che inquadra la figura della moglie, il marito è schiacciato contro il muro. Tiene tra le braccia la figlia appena ventenne. Capelli biondi, fianchi morbidi, irresistibile. Le lingue intrecciate in un vortice umido di passione e timore, le mani mai sazie di infilarsi sotto i vestiti in cerca di umidità.
Era iniziato tutto per caso. Lui in ferie, la moglie fuori casa, la figlia che gli chiese una mano per liberare la propria stanza da tutti i ricordi troppo infantili per fare compagnia ai nuovi testi universitari. Non appena lei si chinò sul letto per afferrare gli orsacchiotti a lato del cuscino e riporli così nello scatolone apposito, gli shorts rosa pallido non riuscirono a nascondere la sua femminilità. Lui vide tutto: niente mutandine che contenessero le leggere curvature del pube, una linea verticale pronta a rivelare il profumo di umori giovanili tra due natiche che sembravano scolpite nel marmo. Non era più la bambina a cui aveva fatto il bagnetto e cambiato i pannolini, non era più quella cosina che correva nuda per casa in preda alle risate giocando a nascondino, non era più quell’adolescente insipida che sembrava non sapere cosa volere dalla vita. Sua figlia era una donna bella che fatta. Lei girò la testa, abbozzando un sorriso quando il padre cercò di distogliere lo sguardo, montò sul letto con entrambe le ginocchia e abbassò i pantaloncini dondolando i fianchi. Le parole erano inutili, invito cristallino. Il padre liberò il rigonfiamento nei pantaloni e nel giro di qualche secondo i due ci stavano dando dentro, unici testimoni bambole e orsacchiotti che sarebbero rimasti nelle loro posizioni ancora per qualche ora, gli occhi inespressivi colmi di incesto.
Chi dei due aveva dato il via? Quella scopata iniziale era figlia del momento o un frutto che era maturato con gli anni? La moglie sapeva tutto e aspettava solo il momento giusto per mettere mano alla mannaia per carne ricevuta in regalo al matrimonio oppure era ignara della cosa? O, ancora meglio, sapeva tutto ma si era chiusa in un silenzio autoinflittosi a causa della consapevolezza che non poteva competere con la carica sessuale posseduta dalla figlia?
Interessante, sentenzia E. dall’altro lato della strada. La finestra senza tende, al primo piano, lascia intravedere tutta la scena. Quadro di luce in un condominio lasciato al buio dalle abitudini lavorative dei suoi abitanti. E se la moglie avesse optato per il silenzio solo per paura di poter perdere tutto e ritrovarsi in mezzo a una strada? Senza contare le voci e i giudizi espressi dai condomini, sconosciuti sempre pronti a infilare il naso negli affari altrui. No, troppo banale. Meglio l’opzione del “non riesco più a soddisfarlo”, molto più interessante a livello narrativo. Un modo per esplorare la psiche, per dare profondità al personaggio. Non è da scartare nemmeno l’opzione del rapporto a tre, però…
E. sbatte le palpebre. La scena lascia il posto a un padre dal cranio lucido intento ad apparecchiare la tavola. Dall’altro lato della sala spunta la bionda, senza dubbio la figlia, con tre calici da vino tra le mani. Nessuno sguardo torbido tra i due, nessuna lingua in azione. Come sfondo, in cucina, la moglie mescola con cura la minestra. Chissà se si è già attivata la curcumina, sorride, sistemandosi sulla spalla la cinghia della borsa da lavoro.
E. riprende il cammino. Gli occhi sempre rivolti verso il palazzo in cerca di una finestra illuminata, qualche figura, qualche storia da raccontare. È il gioco dell’ispirazione, lo chiama lui, un modo per far sì che la routine casa-lavoro che lo attanaglia da cinque anni non gli faccia morire la passione per la scrittura. Si era così abituato a giocarci che non c’era più nulla che non fosse in grado di suggerirgli un abbozzo di trama, un personaggio, anche solo una scena, e lui lo accettava di buon grado. Ovunque poteva vedere una nuova pagina, una scusa per chiudersi in studio e praticare il suo vero lavoro. Al gioco dell’ispirazione c’è chi scrive e chi muore. E. voleva scrivere.
Due finestre più in là vede una ragazza. Capelli neri raccolti in una coda lunga una decina di centimetri appena, vestaglia bianca che lascia scoperte le spalle. È seduta alla scrivania, la luce del computer le illumina il volto creando un’aura bianca in contrasto alla debole illuminazione che avvolge il resto della camera. Starà studiando, ma forse no. Cosa sta facendo? Chatta con le amiche? Si sta preparando per la videochat porno serale? Scaccia via il pensiero. Interessante, ma no. Non è possibile che tutte le storie che ti vengono in mente riguardino in modo più o meno esplicito il sesso. Abbozza un sorriso. Ha giurato di non pensarci, ma l’idea non è male. Può essere un buon incipit: «Lei posò il rossetto sulla scrivania, l’ultimo tocco per essere perfetta. Dall’altra parte dello schermo, cazzo in mano, l’ennesimo porco brizzolato e unto aspettava che lei schiacciasse il pulsante PRONTO. Un paio d’ore di spogliarelli, mani che passano dalla lingua ai seni fino al monte di Venere, e anche quella sera avrebbe contribuito a pagarsi gli studi. “Un mestiere come un altro”, si ripeteva sempre. Tuttavia, ancora non si spiegava perché non l’avessero mai assunta come cameriera».
E. sente già la pressione delle dita sulla tastiera, il ritmo di un battito frenetico reso dolce dalla calibrazione dei tasti. Nonostante le ore appena buttate in ufficio, nel giro di qualche minuto ha accumulato due ottime storie da provare a esplorare attraverso le parole. Pensieri che già sente accompagnarlo nel viaggio di quaranta minuti immerso nel traffico del ritorno. Deve solo tornare a casa e cominciare a scrivere, meglio affrettarsi.
Quando avvia il motore il pensiero sulla videochat è ancora lì, accompagnato da un principio di erezione. Lascia scaldare il veicolo per un paio di minuti, poi inserisce la retromarcia e via. Peccato che E. non si renda conto che il gioco dell’ispirazione è pura illusione: una volta arrivato a casa la stanchezza accumulata gli avrebbe curvato le spalle e offuscato la mente. Non avrebbe scritto nulla, come ogni sera.
E.
(soundtrack: Lou Reed – Walk On the Wild Side)
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