La recente revisione delle opere di Roald Dahl ci lascia una sola certezza: edulcorare il passato non è la via per l’inclusività ed è un precedente pericoloso per il rapporto tra editore e autore

Devo ammettere che sto facendo molta fatica a non cedere al ritornello «Non si può più dire niente» tanto caro a chi sostiene posizioni più conservatrici. Oltre a considerarlo il massimo della generalizzazione in quanto slogan, ho sempre pensato che questo in particolare sia solo utile a chi vuole sentirsi libero di discriminare il prossimo. Per come la vedo io, infatti, sostenere una posizione tramite uno slogan è utile solo quando questo viene accompagnato da un’argomentazione degna di tale nome. Detto ciò, è anche vero che il presente offre sempre qualche spunto di riflessione utile per rivedere le proprie posizioni.
Quindi userò «Non si può più dire niente»? No, però voglio provare a imbastire un discorso sul recente caso delle modifiche contenute nell’ultima edizione inglese delle opere di Roald Dahl.Per chi non lo conoscesse, Dahl fu uno scrittore britannico reso celebre da capolavori della letteratura per l’infanzia come La fabbrica di cioccolato, Le streghe, Il GGG e Matilde.
I fatti
L’editore inglese di Roald Dahl decide insieme alla Roald Dahl Society Company (RDSC, società che detiene i diritti d’autore sulle opere, di proprietà di Netflix dal 2021) di operare una revisione massiva dei testi in vista di una nuova edizione. Puffin Books (l’editore) si rivolge quindi a Inclusive Minds, un’organizzazione di sensivity reader il cui intento è individuare all’interno dei libri per l’infanzia espressioni potenzialmente offensive per alcuni gruppi di persone.
Il colophon di ogni volume è chiaro: «Le parole sono importanti. Le magnifiche parole di Roald Dahl possono trasportare in mondi diversi e far conoscere personaggi meravigliosi. Questo libro è stato scritto tanti anni fa e quindi ne rivediamo regolarmente il linguaggio per assicurarci che possa essere apprezzato da tutte le persone anche oggi».
Come segnalato dal quotidiano The Telegraph, i cambiamenti apportati sono centinaia. Se da una parte la revisione colpisce singoli termini tagliati (come fat, crazy, mad, black, white) o cambiati (vedi chambermaid tramutato nel “neutro” cleaner), dall’altra si arriva a rimaneggiare intere porzioni di testo, spesso riguardanti la descrizione dell’aspetto fisico dei personaggi, cambiandone il significato.
Un precedente pericoloso tra editore e autore
Cosa può significare questa revisione nel rapporto tra editore e autore?
Se già l’autocensura e eventuali editing preventivi atti a rincorrere il bollino blu del moderno “politicamente corretto” sono pratiche alquanto risibili, questa libera edulcorazione di un testo col fine di cambiarne il significato è un precedente preoccupante. È una questione diversa rispetto alla rilettura di fiabe o favole che per loro natura si adattano al tempo in cui vengono raccontate. Qui si parla di un testo già pubblicato, stravolto all’insaputa dell’autore e in cui si manterrà comunque il suo nome. Si altera il messaggio, ma si lascia immutato il nome riportato sulla copertina.
I testi di Roald Dahl non sono nuovi a questo genere di operazioni. L’autore stesso, per esempio, aveva rimaneggiato La fabbrica di cioccolato a qualche anno dalla sua pubblicazione perché alcune descrizioni degli Umpa-Lumpa erano state considerate razziste. Poche modifiche, ma fatte dall’autore del testo.
Se l’autore ha già agito in questa direzione, è legittimo edulcorare le sue opere?
Come già scritto, l’operazione compiuta da Puffin Books, RDSC e Inclusive Minds è un precedente pericoloso per due motivi principali: 1) manomette l’opera; 2) esclude l’autore dalla fase di revisione. Di conseguenza, l’opera perde la sua autorialità e si riduce a mero prodotto su cui tutti possono intervenire a proprio piacimento. È come se decidessimo di registrare ex novo Il triangolo (senza coinvolgere Renato Zero) perché indecente per la morale comune, oppure stravolgessimo la versione originale di Via col vento per renderla più inclusiva. Un conto è che l’autore stesso decida di intervenire sulla sua opera, un altro è che l’editore pensi a questa grande operazione di marketing solo per compiacere una parte di umanità ormai incapace di cogliere la differenza tra realtà e sua rappresentazione.
Cancellare il passato non è inclusività
Sono preoccupato perché questi revisionismi partono dal presupposto che un libro, un film o un disco siano sempre rappresentazioni fedeli della realtà. Niente di più sbagliato perché un’opera, in quanto tale, è una visione filtrata attraverso gli occhi di chi la crea: sta a noi leggerla, capirla e spiegarla.
Il fatto che si tratti di libri per bambini, poi, delinea scenari inquietanti per come viene intesa l’educazione. Un libro rivolto all’infanzia è un mezzo tramite cui genitori e scuola educano le nuove generazioni al nostro passato, presente e futuro. È inutile pretendere di raggiungere una società più inclusiva se i primi passi sono quelli di cancellare il passato da cui sentiamo il bisogno di prendere le distanze; e, di certo, la via non è quella di stravolgere il messaggio di un autore mantenendone comunque il nome sulla copertina.
Il passato è una fonte di ispirazione per guidarci al miglioramento, non un tratto di gesso da cancellare con una passata di spugna.
E.
Per approfondimenti e altre visioni ti segnalo l’articolo de ilPost, il post di Marco Crepaldi e il video di Yasmina Pani.