La Gnot dai muarts

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PROLOGO

Questa storia inizia in una cartolina. Sullo sfondo immagina di vedere una catena montuosa, picchi innevati che brillano alla luce del sole, cielo azzurro saturo e un paio di nuvolette che sembrano disegnate ad acquerello. Nella parte inferiore c’è un colle poco scosceso, tutto coperto di erba tenuta perfettamente a livello dai pascoli che ogni anno banchettano sui suoi fianchi. Al centro della foto c’è una casa a due piani, l’unica nel raggio di chilometri. Le pareti del piano terra sono in roccia, quasi fossero intagliate nella montagna, mentre il piano superiore è di legno massiccio, una calda e grande mansarda coperta da un tetto spiovente abituato a sorreggere il peso dell’inverno.
Ora immagina che il sole sia calato per lasciare posto alla notte. Fa freddo e nevica. Dalle finestre traspare una luce calda, arancione, segno che all’interno il camino della sala sta macinando legna già dalle prime luci del giorno. A fianco della porta d’ingresso, su un piccolo davanzale che sembra essere stato affisso apposta, c’è una zucca intagliata, ghigno malefico. È il 31 ottobre.

La porta si aprì con un cigolio. Ne uscì una figura ricurva sotto un numero imprecisato di coperte. Dall’ammasso di lana sbucò una mano che spazzolò via un mucchietto di neve accumulatosi sulla cima della zucca. La figura si sporse sullo scalino per controllare che la candela stesse facendo il suo dovere. Tutto a posto, non c’è bisogno di cambiarla. Due occhi contornati di rughe, unico spiraglio tra le coperte, si girarono per fissare un punto indefinito nel buio circostante. La lanterna doveva essere ben visibile.
Finiti i controlli, la figura rientrò in casa dondolando, bene attenta a non sbattere la porta. Una volta arrivata in sala si scrollò di dosso le pesanti coperte. Ne uscì una vecchina tutto nervo dalla schiena ben dritta. Solo i grandi occhiali appoggiati sul naso e il mare di rughe che ne solcava i lineamenti potevano fornire qualche indizio sulla sua vera età. In molti sospettavano che avesse qualcosa come cento anni, altri mormoravano che ne avesse molti di più e che fosse già presente quando i loro nonni erano giovani. Le voci di paese, però, spesso avvolgono in un’aura di mistero coloro i quali scelgono di vivere in un cantuccio lontano dalla società, quasi non si riuscisse a concepire la voglia di tranquillità che caratterizza chi sta bene per proprio conto.
«Nonna Norma, ho finito di lavarmi i denti!»
La voce della nipote risuonò attraverso le assi del soffitto.
«Brava, la mia bambina. Mettiti a letto che arrivo subito.»
Norma abbandonò le coperte sul divano ed entrò in cucina. Su uno dei fornelli della stufa a legna, un pentolino colmo di latte gorgogliava fumante. Il sottile strato di panna indicava che la temperatura era perfetta.
«Nonna, dove sei?»
«Arrivo, stella mia, arrivo», rispose Norma togliendo il pentolino dal fuoco. Ne versò il contenuto in due scodelle per poi appoggiarle su un vassoio di legno decorato con motivi floreali. Anche stasera è giunto il momento della buonanotte, pensò salendo i gradini che portavano al piano superiore, il viso deliziato. Adorava la sua dolce nipotina, ed esplodeva di gioia ogni volta che i genitori la chiamavano per sapere se potessero affidargliela anche solo per un fine settimana. L’unico suo cruccio era che le giornate in sua compagnia passavano troppo in fretta tra passeggiate, giochi e le ore passate a insegnarle a cucinare. I bambini bisogna goderseli, soprattutto nei momenti in cui danno ancora retta alle storie raccontate prima del bacio della buonanotte.
Giunta nella camera della nipote, Norma non poté fare a meno di lasciar indugiare lo sguardo sulle decine di cornici appese al muro, nelle quali la piccola aveva racchiuso un buon numero di farfalle e foglie secche. La più bella, però, era appesa sopra il letto: una stella alpina. Notò con piacere che la piccola Beatrice era già pronta per infilarsi sotto le coperte.
«Nonna, perché ci hai messo così tanto?»
La bambina se ne stava seduta sulla trapunta, le gambe incrociate e le spalle appoggiate alla testiera. Era bellissima: capelli lunghi castani, occhi azzurri e curiosi, visetto magro dai lineamenti dolci. Era un piacere rimirare la sua espressione corrucciata adornata dal rossore delle guance.
«Dovevo controllare la lanterna e prepararti il latte della buonanotte, tesoro», disse Norma con un sorriso, posando il vassoio sul comodino. «Ecco qui la tua tazza, cara. Bevilo tutto, mi raccomando.»
Beatrice prese la tazza con entrambe le mani e bevve con avidità. Avere una nipote come lei era una fortuna. Non c’era mai un momento libero: voleva camminare per i sentieri che si perdevano nel bosco, raccogliere funghi e foglie secche, andare a caccia di farfalle, apparecchiare la tavola e imparare a tessere a maglia. Niente televisione o telefono cellulare, solo la magia che si creava tra nonna e nipote negli spensierati momenti di gioco.
«Finito!» urlò Beatrice rivelando la presenza di un paio di baffi da latte.
Norma poggiò la tazza della nipote sul vassoio, e solo dopo averle pulito la bocca si dedicò alla propria porzione di latte. Buono, caldo, pastoso. L’essenza della vita di montagna.
«Allora, che storia vuoi che ti racconti oggi?» chiese Norma sistemandosi gli occhiali.
«Non lo so, nonna.»
«Come non lo sai… Vuoi che ti racconti di Cappuccetto Rosso?»
«No.»
«La leggenda del tesoro dell’Orcul?»
«No.»
«Quella del drago di Udine?»
«Questa la so a memoria, nonna.»
«E allora, cosa vuoi che ti racconti?»
Urgeva trovare una soluzione, e anche alla svelta. Norma cominciò a fare una lista mentale di tutte le storie che conosceva, anche quelle nascoste nei più remoti anfratti della memoria. Dal nulla, ecco l’illuminazione.
«Vuoi che scelga io la storia?»
«Sì, nonna, però una nuova.»
Gli occhi della piccola si fecero supplicanti, impossibile resisterle.
«Che ne dici se ti racconto qualcosa su Halloween?»
«No, nonna, ho paura dei fantasmi.»
L’esile figura si rattrappì, i piedi nudi si proteggevano l’un l’altro.
«Tranquilla, cara, non voglio parlarti di fantasmi e mostri che fanno paura, ma di come un bambino della tua età scoprì l’essenza di questa notte.»
Il volto della bambina si illuminò. «Sì, sì, sì, mi piace! Dai, racconta.»
«Va bene, cara, ma prima devi infilarti sotto la coperta.»
La bambina si stese sul letto e si coprì in un baleno, ansiosa di ascoltare la storia di quella festa che tanto l’aveva turbata quando l’aveva sentita nominare in televisione. Aveva anche provato a chiedere spiegazione ai genitori, ma avevano tagliato corto dicendole che era una festa straniera e che non aveva senso festeggiarla.
Nel mentre, Norma rimboccò le coperte a dovere. Possibile che mio figlio non ti abbia spiegato le vere origini di Halloween?, pensò con una punta di delusione. Eppure, è un’usanza assodata da migliaia di anni nel nostro sangue.
Appurato che la nipote stesse comoda e al caldo, Norma si sedette sulla sedia a dondolo che aveva disposto accanto al letto. La sedia ne aveva ascoltate, di storie, e quella notte non sarebbe stata l’ultima.
«Nonna?»
«Sì?»
«Mi spieghi cosa vuol dire essenza?»
Norma sorrise.
«Tesoro, potevi chiedermelo subito. Allora, l’essenza è il vero valore di una cosa, ciò da cui si parte per poi costruire qualcosa di più grande.»
La bambina sgranò gli occhi.
«Come farina e uova per fare una torta?»
Norma scoppiò in una fragorosa risata, tanto che dovette tenersi gli occhiali per evitare che cadessero. Meccanismo affascinante la mente di una bambina di sette anni: riesce a capire le cose a lei sconosciute pescando nella semplicità della quotidianità.
«Sì, tesoro, un po’ come gli ingredienti per preparare una torta.»
«Dai, dai, dai. Comincia.»
«Dammi un secondo, piccola mia.»
Norma raddrizzò la schiena, pronta ad affrontare un lungo racconto. Chiuse gli occhi e cominciò a dondolarsi leggermente facendo perno con le punte dei piedi, lasciando che il ritmo scandisse il flusso di parole in arrivo. Un minuto soltanto, poi riaprì le palpebre mettendo a fuoco la più bella bambina che avesse mai visto.

CAPITOLO 1
Bastiano e la sua passione

C’era una volta, in un paese molto lontano, un bambino di nome Bastiano. Era bello, sui sette anni, biondo e con gli occhi azzurri, e come molti coetanei andava pazzo per la notte di Halloween. Il suo libro preferito era La Maschera Maledetta della serie per ragazzi “Piccoli Brividi” e aveva imparato a memoria il film d’animazione Nightmare Before Christmas di Tim Burton, di cui si era perfino fatto regalare il compact disc della colonna sonora. Almeno una volta al giorno lo si poteva sentire cantare a squarciagola immaginando di essere mano nella mano con Jack Skeletron e Sally, in un mondo in cui anche il più bieco degli orrori poteva assumere una forma compiacente a un bimbo.
Tutto questo entusiasmo, però, non si sposava con le usanze di una città in cui Halloween era visto come una festa importata, quindi da non festeggiare. Bastiano viveva tutto l’anno con una voglia matta di andare a fare dolcetto o scherzetto per tutta la notte, assumere le sembianze dei mostri più orripilanti, preparare la zucca da esporre fuori casa, e non valevano niente i tentativi di dissuaderlo portati avanti instancabilmente da parte dei genitori. Inutile contare tutte le lacrime amare versate dal piccolo Bastiano. Arrivato ottobre, il bambino si chiudeva in un guscio impossibile da scalfire fatto di tristezza inconsolabile. Si doveva solo sperare che novembre arrivasse il più in fretta possibile.
Quell’anno, vedendo ottobre avvicinarsi inesorabile e presagendo la conseguente disperazione del figlio, il papà e la mamma decisero di lasciarlo dai nonni. L’occasione era perfetta: il 31 ottobre sarebbe capitato di domenica e la scuola sarebbe rimasta chiusa per i due giorni successivi. Una possibilità di svago per Bastiano, un po’ di pace per i genitori. Uno scambio equo. In più il bambino avrebbe potuto imparare qualcosa sulle festività dei morti, così da lasciar perdere quella buffonata che era Halloween e darsi una calmata.
Bastiano accolse la notizia con gioia, piangendo per la felicità.
Fu così che la felice famigliola si mise in viaggio verso la casa dei nonni, una costruzione in legno e pietra in un piccolo paesino sperduto tra le montagne. Il piccolo agglomerato di abitazioni era sul picco di un colle situato nel centro esatto della vallata, cosicché tutt’attorno si potevano ammirare le vette già coperte di neve. Tuttavia, la cosa più importante è che gli abitanti erano tra i pochi ad aver mantenuto una festività simile ad Halloween, solo che la chiamavano Gnot dai muarts (notte dei morti).
I nonni Primo e Fiorina, due vecchietti di montagna ben piantati e incartapecoriti, accolsero il nipotino a furia di baci, carezze e un milione di domande, fra le quali «Come va la scuola?» e «C’è qualche bambina che ti piace?». Il fervore della prima accoglienza, però, non eguagliò la magnificenza del pranzo: gnocchi di farina di polenta e patate serviti in un mare di burro e formaggio, spezzatino di cinghiale con polenta e torta al cioccolato e zucca; senza dimenticare la sacra grappa alla genziana distillata da nonno Primo, un vero toccasana per la digestione.
Dopo pranzo i genitori di Bastiano ripartirono per tornare a casa. Era stata una buona scelta quella di lasciare il figlio dai nonni, così anche loro sarebbero riusciti a rilassarsi per qualche giorno.
Quando i genitori ripartirono, il bambino era così emozionato che quasi si dimenticò di salutarli, tanto era impegnato a parlare con la nonna a proposito della zucca che avrebbero esposto fuori dall’abitazione.
Dopo un breve riposino, nonni e nipote andarono a raccogliere una delle zucche dal campo comune situato appena fuori dal paese. In quel piccolo appezzamento di terra, gli spiegò Fiorina, ogni abitante capace coltivava un buon numero di zucche così da permettere che tutti ne potessero usufruire nella notte del 31 ottobre, sia per esporle, sia per cucinare ricette tradizionali il cui profumo invitante avrebbe avvolto l’intero paese. Era un’antica regola che andava avanti dall’alba dei tempi, da quando i primi abitanti che si stabilirono nella zona cominciarono a rendere onore ai propri defunti nel Capodanno celtico. Bastiano ascoltava affascinato, e allo stesso tempo adorava tutto di quel paese: le vecchie case in pietra, le fontane da cui sgorgava acqua ghiacciata purissima, i piccoli viottoli tra una casa e l’altra e, soprattutto, l’aria che trasportava il profumo di legna arsa nella stufa.
La preparazione della zucca fu un’esperienza unica: nonna Fiorina spiegò al nipote i metodi per svuotarla, intagliarla e fare in modo che la candela non si spegnesse una volta accesa e messa all’interno di essa. La lavorazione fu lenta e meticolosa e, verso le quattro di pomeriggio, Bastiano uscì di casa portando con sé la sua prima lanterna di Halloween. Il portico era il posto perfetto per esporla; quindi si fermò, posò la zucca a terra, la scoperchiò e ci infilò la candela che portava in tasca. Una volta accesa e ricoperta, Bastiano rimase a fissarla con occhi colmi di estasi. Era il bambino più felice del mondo. Si fermò accanto a quel ghigno crudele ancora per qualche minuto, poi decise di salire in camera per tirare fuori il costume dalla valigia.
Il costume da zombie era terrificante, almeno per lui: una veste bianca con cappuccio e una maschera piena di cicatrici e ferite che percorrevano un volto marcescente dalla carnagione verde bluastra. Bastiano non vedeva l’ora di poterlo indossare.
Il bambino sentì bussare alla porta, ed ecco entrare nonna Fiorina.
«Che cos’è quello?» chiese la nonna fissando il costume con occhi sgranati.
«Nonna, è il mio costume di Halloween.»
«Costume da cosa?» rispose lei di getto.
«Sì nonna, per fare dolcetto e scherzetto».
«Che ne dici di spiegarmi di cosa stai parlando?»
Fiorina era sempre più allibita. Mica era Carnevale.
«Parlo di questa notte, il 31 ottobre. La mamma e il papà mi hanno detto che qui festeggiate Halloween e che i bambini si travestono da mostri e vanno in giro per le strade a chiedere dolci in ogni casa.»
Fiorina capì l’equivoco, e con la morte nel cuore spiegò a Bastiano che nel loro paese non si usava fare dolcetto e scherzetto, non era parte dei festeggiamenti per la Gnot dai muarts. Il bambino rimase zitto tutto il tempo, ascoltava le parole della nonna con attenzione, ma non riusciva a credere a quello che sentiva. Gli occhi presero a luccicare di lacrime. La nonna se ne accorse.
«Devi capire, Bastiano, che noi non usiamo fare certe cose.»
Il bambino scoppiò a piangere. Non poteva credere a ciò che aveva sentito: per l’ennesima volta non avrebbe festeggiato il suo giorno preferito dell’anno. Non riusciva a mandare giù quell’amara delusione, non ora che era andato così vicino al compimento del suo più grande desiderio. Fiorina, dal canto suo, scelse il silenzio, dispiaciuta di essere stata lei a deludere il nipote, quindi lo lasciò sfogare. Aveva capito che Bastiano era inconsolabile. Meglio non peggiorare la situazione, in fin dei conti era un bambino: qualche lacrima, un buon dolce accompagnato da qualche parola gentile, un abbraccio e tutto sarebbe tornato come prima.
«Bastiano, io ora vado in cucina. Se hai bisogno di me mi trovi là.»
Il bambino rimase steso sul letto in preda ai singhiozzi. Nel mentre, il sole si era nascosto dietro le montagne e l’oscurità stava avvolgendo la valle.
Verso le otto di sera Bastiano decise di andare in cucina dalla nonna. La trovò seduta vicino alla stufa a legna, intenta a scaldarsi le mani. Nonno Primo era già andato a dormire, una vita passata a lavorare come un somaro dalle prime luci fino al tramonto aveva segnato le sue abitudini. Fiorina, vedendo il nipote fermo sulla porta, lo invitò ad accomodarsi. Bastiano accettò l’invito e le chiese di spiegargli quale fosse il loro modo di festeggiare la notte di Halloween. Nonna Fiorina non si tirò indietro e, parlando lentamente con parole rotte ogni tanto da qualche sospiro, gli spiegò la credenza secondo la quale la notte del 31 ottobre le anime dei morti scegliessero di tornare nel mondo dei vivi per visitare il loro vecchio paese e di come, una volta finito il giro, le anime si raccogliessero in una processione (chiamata danza dai muarts) e raggiungessero il cimitero per poi scomparire fino all’anno seguente. A mezzanotte, mentre le campane suonavano i loro rintocchi in memoria dei defunti, si usava pregare il rosario dei muarts e, una volta finito, si mangiava il pan dai muarts (pane dei morti) recitando una vecchia litania tramandata di generazione in generazione. La nonna si soffermò soprattutto sull’ultimo punto, il più spaventoso: la pena per chi osava anche solo spiare la processione notturna era la morte o la pazzia.
Bastiano rimase ad ascoltare la storia a bocca aperta, fissando la stufa con occhi sgranati. Era un modo di festeggiare ben diverso da quello che si era immaginato, noioso e pieno di preghiere. L’ultimo punto della storia però lo affascinava, l’unico in grado di aggiungere un pizzico di avventura al tutto. In quel momento il bambino si decise sul da farsi: sarebbe uscito di casa a mezzanotte, con indosso il suo costume, per assistere alla processione dei morti. Voleva vedere con i suoi occhi ciò che gli era stato descritto.
«Bastiano, tutto bene?»
La voce della nonna lo strappò dai suoi piani.
«Sì, nonna, mi sento meglio ora. Non preoccuparti.»
«Vuoi qualcosa da mangiare?»
«No, nonna, grazie. Preferisco andare a letto.»
Bastiano non era in vena di cibo. Non vedeva l’ora di potersi infilare il costume e andare per le strade del paese in cerca della processione.
«Sicuro, tesoro?»
«Sì, nonna, non preoccuparti», il piccolo si alzò dalla sedia e la rimise al suo posto.
«Buonanotte, tesoro mio», disse Fiorina girandosi verso suo nipote.
«Buonanotte, nonna», le rispose lui baciandola sulla fronte.
Fiorina lo seguì con lo sguardo finché non lo sentì salire i gradini che portavano al piano superiore, poi riavvicinò le mani alla stufa. Bastiano poteva darla a bere a chi voleva, ma non a lei. Quella notte non l’avrebbe tenuto sotto controllo. Sapeva benissimo quali fossero i suoi piani, e non avrebbe fatto nulla per ostacolarli. Del resto, tutti devono vivere la Gnot dai muarts almeno per una volta.

CAPITOLO 2
La danza dai muarts

Mezzanotte arrivò, e non fu facile aspettarla facendo finta di dormire. Nell’attesa, infatti, Bastiano aveva rischiato più volte di addormentarsi. Verso le undici e mezzo il bambino si alzò e indossò il costume da zombie. La nonna non l’avrebbe sentito: era in sala ad ascoltare la radio, cucendo a maglia e aspettando la mezzanotte per onorare le antiche usanze.
Al primo rintocco di campana il bambino uscì dalla finestra della sua camera. Faceva un gran freddo, ma non poteva indossare un cappotto sopra il costume se voleva confondersi tra i morti nella loro processione. L’emozione gli scaldava il cuore, e questo bastava.
Bastiano cominciò a camminare per la strada in direzione del paese. La nebbia rimaneva al livello del terreno e copriva l’asfalto con il suo manto fumoso.
Altro rintocco di campana.
Il paese era immerso nel silenzio, si sentiva solo il frusciare dei rami scossi dal vento e il lieve scalpiccio di scarpe di ginnastica sull’asfalto della strada prodotto da un bambino solitario alla disperata ricerca di una leggenda. Le finestre, le uniche testimoni di una silenziosa attività umana, tremolavano alla luce dei camini.
Altro rintocco di campana.
Bastiano cominciò a spazientirsi, si stava pian piano rendendo conto che stava girando a vuoto. Non si era nemmeno fatto dire quale dovesse essere il percorso della processione. Nella sua testa cominciò a farsi largo sempre più l’idea che la nonna gli aveva raccontato una semplice leggenda senza la minima parvenza di realtà, un inganno per convincerlo a calmarsi. Il suo passo si fece sempre più lento e svogliato. Il costume era inutile, il fine settimana passato dai nonni una noia senza pari. Lo spirito avventuriero di cui era armato fino a qualche minuto prima si era dipanato. Addio, Halloween.
«Salve!» una voce roca e profonda ruppe la cappa insonorizzata che circondava la strada.
Fruscio di passi leggeri sull’erba. Bastiano non si girò. La voce l’aveva preso così alla sprovvista che da sola era riuscita a impietrirlo dalla paura. I passi si fermarono.
Altro rintocco di campana.
«Ehi, tu! Sì, tu. Salve!» questa volta con un tono più acuto. I fruscii ripresero.
Bastiano trovò finalmente la forza di voltarsi. Gli occhi azzurri inquadrarono una figura posta per metà all’ombra di un albero a pochi metri da lui. Sembrava trattarsi di un uomo alto e magro con indosso un cappello a punta. Più di così, però, non si riusciva a distinguere. Il bambino cominciò a sentire un gran freddo attraversargli le carni arrivando a pungergli le ossa.
«S-s-salve», rispose con voce tremante.
Altro rintocco di campana.
La sagoma emise una risatina.
«Salve a te, giovinetto! Come ti chiami?»
La figura fece un passo verso il bambino, rimanendo comunque nell’ombra.
«Mi chiamo Bastiano.»
«Salve, Bastiano! Dimmi, che ci fai in giro per il paese tutto solo soletto a quest’ora di notte?»
La voce era calma e tranquilla, ma non aveva niente di rassicurante. Bastiano venne scosso da una serie di brividi che gli attraversavano il corpo.
Altro rintocco di campana.
«Voglio vedere la processione dei morti…» rispose il bambino deglutendo a fatica. Non riusciva a smettere di tremare.
«Tu vuoi vedere la processione dei morti. Ma davvero?» tono beffardo e strafottente. Adesso la voce raggiunse un tono più acuto, come per la risatina di poco prima. Il bambino era sicuro che la figura lo stesse in qualche modo sfottendo per il semplice fatto di trovarsi davanti un bambino così credulone.
«Sì, voglio vedere la processione dei morti», rispose con fermezza. Non aveva nessuna voglia di farsi prendere in giro.
La figura fece qualche passo verso di lui e la luce rivelò due pantaloni di stoffa grigia pieni di buchi e puntellati da quelle che sembravano essere macchie di fango e grasso vecchie di secoli. Ai piedi portava degli stivali di pelle tanto logora da lasciare fuoriuscire entrambi gli alluci. Giunta a un paio di metri dal bimbo, si fermò.
Altro rintocco di campana.
«Sai, caro Bastiano. Io l’ho vista la processione dei morti.»
Il volto del bambino si illuminò.
«Davvero?»
La voglia di assistere allo spettacolo tornò a riempirlo di gioia e coraggio.
«Certo, e anche un bel po’ di volte.»
«Ti prego, dimmi com’è», lo implorò Bastiano. Ora si sentiva più sicuro. Quello strano individuo poteva spiegargli molte cose a proposito della processione, meglio approfittarne. Tuttavia, il suo viso era ancora nascosto dall’ombra. Sentiva di potersi fidare di quell’individuo, ma il fatto di non riuscire ancora a scorgerne i lineamenti del viso non gli piaceva affatto, anzi lo spaventava un pochino.
Altro rintocco di campana.
«Ehi, piccolo Bastiano, che ne dici di vedere la processione sotto a quest’albero con me?»
«E perché dovrei venire lì sotto?»
Brutta sensazione.
«Eh, sai, da qui la si vede benissimo. E poi se vieni qui i morti non riusciranno a scorgerti.»
Idea allettante, ma il bambino continuava a nutrire un certo timore per la negra figura che aveva davanti. Il sospetto ricominciò a fare il suo dovere. Non se la sentiva proprio di avvicinarsi a una persona della quale riusciva a distinguere solo i pantaloni e le scarpe.
Altro rintocco di campana.
In un attimo Bastiano capì che la figura gli diceva la verità: da quella posizione poteva davvero non farsi vedere dalle anime che sarebbero passate a pochi metri. Decise allora di voler conoscere a tutti i costi l’individuo con cui stava condividendo la sua prima notte di Halloween.
«Fammi vedere il tuo volto», disse Bastiano con voce ferma. La sua non voleva essere un’intimidazione o un ordine, ma tra il freddo, la paura e la voglia di vedere la fantomatica processione, le emozioni presero il sopravvento sulla sua capacità di autocontrollo.
«Siamo nervosetti eh?!» ridacchiò l’altro, beffardo. «Comunque, no, non voglio rinunciare al mio posto proprio quando può sbucare fuori la processione da un momento all’altro.»
Bastiano si calmò e decise di fare un secondo tentativo.
«Se non mi fai vedere il tuo volto, io me ne torno a casa.»
Era deciso più che mai. Non avrebbe perso la sua occasione. La figura scoppiò in una risatina soffocata.
«Se te ne vai ora, non vedrai mai la processione.»
«Non me ne frega niente. Se vuoi che venga lì, devi farti vedere!»
«Ti ho già detto che non voglio perdermi questo eccellente posto in prima fila», rispose la figura in nero. Non mollava la presa.
«Allora io me ne vado! Ciao e buona processione.»
Bastiano fece dietrofront. Tempo di fare qualche passo e si sentì afferrare la spalla destra da una mano forte. Un brivido gli corse lungo la schiena. Come aveva fatto ad afferrarlo se la figura si trovava così distante da lui?
«Va bene, hai vinto. Ti mostrerò il mio volto, ma lo farò con la mia lanterna perché non voglio perdere questo magnifico posto.»
Bastiano si girò. Dietro alla figura, fissata a un bastone piantato a terra, si accese una lanterna fatta a zucca. Dal ghigno si diffuse la luce arancione emessa dalla candela racchiusa all’interno. Il bambino urlò.
Altro rintocco di campana.
Mano a mano che la luce cresceva d’intensità, il volto della figura rivelava le sue forme: una bocca costellata di denti marci, un grosso naso a patata, due occhi piccoli e rossi, capelli così crespi simili a una palla di sterpi. Qualche goccia di bava grigiastra uscì da quell’orribile bocca deformata in un ghigno sinistro.
«Piacere, io sono Jack. Sei pronto a venire con me?»
L’urlo di Bastiano continuò a risuonare per le vie del paese, ma nessuno si dette la pena anche solo di guardare fuori dalla finestra. Del resto, era la notte della danza dei muarts. C’era sempre qualche giovane incurante delle tradizioni che si dava alla pazza gioia.
«Stammi lontano!»
Bastiano indietreggiò con passo tremolante.
«Caro il mio Bastiano, adesso devi venire con me. Finalmente ho trovato un rifugio. Questo corpo è così vecchio e logoro che è buono solo per i vermi.»
Continuando ad indietreggiare, Bastiano cadde a terra sbattendo la testa. Non svenne, ma la paura lo tenne bene incollato al suolo. Incapace di muoversi, non riusciva nemmeno più a urlare. Gli occhi, gli unici in grado di muoversi, si soffermavano su ogni particolare del suo aggressore.
Jack continuò ad avanzare. La gamba destra, che prima sembrava dritta, ora era piegata in fuori lasciando intravedere le ossa delle ginocchia tra il tessuto lacerato dei pantaloni. La luce della lanterna si faceva via via sempre più intensa, disegnando il suo diabolico ghigno intagliato sulle case vicine.
Bastiano sapeva di non poter fare più nulla per evitare la morte. La sentiva avvicinarsi col suo respiro pesante. Gli vennero in mente le storie che aveva letto su Jack: era un personaggio appartenente all’universo di Halloween, colui che continua a vagare di strada in strada perché né Inferno né Paradiso avevano accettato di accoglierlo.
Jack si piegò sopra il corpo del bambino, alitandogli il suo olezzo sul volto. Un rivolo di bava cadde sul mantello bianco e poi sul piccolo naso. Bastiano svenne.
Altro rintocco di campana.
«Jack! Fermati!»
Jack si fermò. No, non era la voce del bambino. Alzò lo sguardo e vide tutt’attorno a sé un numero indecifrabile di figure bianche avvolte in sudari splendenti di luce propria. Solo di alcune si riusciva a scorgere il volto tumefatto e talvolta privo di naso o entrambi gli occhi. Era circondato dalla processione dei morti.
«Andatevene, non ho niente da spartire con voi!»
Jack si rialzò e fece qualche passo indietro. Dalla massa di anime ne uscì una, la più luminosa.
«Invece hai qualcosa di nostro. Rendici il bambino!»
La sua voce era suadente, calma e pacata. Ne traspariva un’autorità pesante di centinaia d’anni.
«Bastiano? No! Lui è mio!»
«Lui fa parte della nostra stirpe. Se l’anima di un defunto reclama un suo discendente tu non puoi toccarlo e lo sai. Quindi, vattene! Vattene e non tornare mai più!»
La figura alzò un braccio indicando con fermezza un punto indefinito tra le nere montagne.
«E va bene, me ne vado», si lagnò Jack facendosi largo tra le anime che lo circondavano, un passo alla volta con la sua andatura claudicante. Fremeva di rabbia, ma sapeva benissimo che quel defunto aveva ragione: era sempre stato così, fin dalla notte dei tempi. Era la regola. Il guaio è che riuscivano sempre a impedirgli di impossessarsi di un corpo sano.
Altro rintocco di campana.
Il corridoio di vesti bianche creatosi attorno a Jack si richiuse, e l’anima più splendente di tutte si avvicinò al corpo di Bastiano, ancora svenuto. L’anima del defunto si chinò sul bambino e, con un gesto della mano, lo rianimò all’istante.
«Come stai?» chiese con voce rassicurante.
Bastiano non riuscì a credere a quello che vedeva: era circondato dai muarts.
«È vero che ora mi ucciderete?»
Non vi era né paura né presagio di pianto nella voce del bambino. Si sentiva a suo agio davanti a quella bianca figura, sebbene gli mancassero tutti e due gli occhi e pur conoscendo la pena per aver assistito a uno spettacolo proibito ai vivi. Aveva sbagliato a uscire di nascosto, ora era pronto ad accettare le conseguenze delle sue azioni.
«No, Bastiano,» rispose l’anima, «niente di tutto questo. Io sono un tuo lontanissimo parente. Ho vissuto centinaia di anni fa, quando questo paesino non era altro che una decina di case abbarbicate su questo monte. E ora ti ho salvato da quello scansafatiche di Jack.»
A quel punto Bastiano si ricordò di Jack e di come la creatura avesse tentato di impossessarsi di lui, però qualcosa non gli tornava.
«Ma nonna Fiorina mi ha detto che la pena per aver visto la vostra processione è la morte o la pazzia…»
«Questo dimostra come molte credenze popolari siano fondate sulle menzogne. Dai, alzati che ti riporto a casa. Se vuoi, lungo il tragitto posso dirti qualcosa sulle vere origini di questa notte.»
Bastiano si rialzò e i due si diressero verso casa, accompagnati dalla schiera di anime. Durante il cammino l’anima gli raccontò tutto su Halloween, partendo dal dio Samhain e passando per le questue di bambini e bisognosi che diedero il via alla tradizione del dolcetto o scherzetto. Senza accorgersene, fecero il giro dell’intero paese parlando a non finire delle varie credenze e tradizioni. Camminarono così a lungo che giunsero davanti alla casa dei nonni verso le tre di notte.
La mattina dopo, mentre facevano colazione, i nonni non dissero una parola. Tuttavia, lo sguardo del bambino confermò tutto. Lui mollò la tazza di latte, si alzò e li abbracciò.
«Grazie, nonni.»

Quella fu una notte che Bastiano non poté più dimenticare. Grazie a essa, imparò la vera essenza di Halloween: il rispetto per i defunti, per le divinità e, soprattutto, per chi bussa alla porta in cerca di qualcosa da mangiare o anche solo di un bicchiere di vino da bere davanti al fuoco. Il bambino non vide più Halloween con gli stessi occhi, e fu riconoscente al suo antenato per tutta la vita.

EPILOGO

«Fine della storia.»
Nonna Norma posò la tazza sul vassoio e rilassò la schiena sullo schienale della sedia a dondolo.
«Bella, bella, bella. Bella storia, nonna.»
Beatrice sfoderò il più bel sorriso che Norma avesse mai visto nella sua lunga a faticosa vita.
Dal paese, in lontananza, il primo rintocco della mezzanotte diede il via alla sua danza tra le pareti di roccia.
«È mezzanotte, l’ora della danza dei muarts!» esultò Beatrice. Saltò giù dal letto e si aggrappò in punta di piedi alla finestra.
«Cosa fai, amore?»
«Voglio vedere la processione.»
«Non lo so se quest’anno passerà di qua, sono riuscita a vederla solo poche volte. Ma se davvero vuoi provare, possiamo farlo insieme», disse Norma con un sorriso mentre si alzava con una punta di fatica. Raggiunta la finestra, si inginocchiò accanto a Beatrice.
I rintocchi si sentivano più chiaramente e la neve cominciò a cadere un po’ meno fitta fino a fermarsi.
«Eccoli!»
Beatrice sobbalzò e indicò con il ditino un punto immerso nell’oscurità del paesaggio. Una lunga processione di sudari bianchi splendenti di luce propria stava percorrendo il sentiero tra gli alberi. L’andamento era maestoso.
«Nonna, è bellissimo!»
Norma non spiccicò parola. Nonna e nipote rimasero in silenzio per qualche minuto ad ammirare lo spettacolo, che se non fosse stato per i rintocchi dettati dalle campane sarebbe avvenuto nel silenzio più assoluto.
«Sai, tesoro,» disse nonna Norma, «conobbi Bastiano quando lui era già un povero vecchietto che passava le giornate a raccontare storie a noi bambini. Molti lo ritenevano pazzo, ma io cominciai a credergli ciecamente dopo aver visto la mia prima danza dei muarts.»
«Davvero l’hai conosciuto?»
«Certo, bambina mia, e mi ha anche insegnato alcuni versi che si era fatto dettare dall’anima che lo riportò a casa in quella magica notte.»
«Ti prego, nonna, insegnameli.»
«Va bene, tesoro mio, va bene. Direi che sei pronta.»
La neve non cadeva più e la processione dei morti continuava la sua avanzata. Una bava d’aria, prima silenziosa, trasportò l’eco di due voci impegnate in una melodia antica. Sentita la litania, le anime risposero con la medesima cantilena.

«O križi, roke mrtvih
ke poslušate pojenie
cipresov,
potolažite žalost
zapadlih listov
ke nosijo
naše glase…»

«O croci, braccia di morti
che ascoltate le preghiere
dei cipressi,
confortate il dolore
di foglie cadute
che portano
le nostre voci…»

E.

(soundtrack: Krzysztof Komeda – Rosemary’s Baby Main Theme)


Qui trovi la selezione dei miei racconti per Halloween.

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