Un ricordo

Racconto di Natale

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«Ma sì, vedrai che arriva» sbuffa mio fratello portando in cucina i piatti sporchi.
È la Vigilia di Natale, e per la prima volta abito in una città che non è la mia.
Babbo Natale riuscirà a trovarmi?
Andando via da Gemona non gli ho lasciato né un biglietto, né un’indicazione. Gli ho scritto la letterina, certo, ma i postini qui riusciranno a capire l’indirizzo?
Papà ha detto di non preoccuparmi, che l’avrebbe spedita dal suo ufficio in ambasciata con la posta aerea. Wow… Ma allora perché tutta quest’ansia?
In fondo anche qui lo aspettano. Sì, stando a quanto ho scoperto grazie ai miei compagni di asilo è così. Non capisco una parola quando mi parlano, e la mamma mia ha detto che la cosa è “recipocra” (o una cosa del genere), ma i concetti di base li afferro eccome.
Ma sì, sì. Anche in città ne ho viste di immagini che lo ritraggono… però non posso fare a meno di aver paura.
Il fatto è che io lo voglio il regalo. Sì, se no non sarebbe Natale.

Guardiamo tutti insieme la maratona di cartoni Disney su Rai 1. Saremo pure nell’Ungheria dei primi Novanta, quindi fuori dal mondo per molte persone in Italia, ma riusciamo comunque a vedere la Rai (che è sempre meglio della tv ungherese).
La programmazione prevede Canto di Natale di Topolino e Pomi d’ottone e manici di scopa. Me li godo entrambi, ma ogni tanto non posso fare a meno di lanciare un’occhiata verso il balcone. È lì che arriverà, lo sento.
Passa il tempo, ma lui non si fa vedere. Durante la pausa pubblicitaria esco fuori a controllare, ma non è passato.

Il lento scorrere dei titoli di coda annuncia con eleganza che è ora di andare a letto. Lentamente, tenendo sempre d’occhio il balcone, esco dal salone. Mia mamma qualche passo più indietro.
«E se lo aspettassi ancora un po’?» propongo voltandomi di scatto.
«No, ormai è tardi. Vedrai che passa domani mattina» risponde lei.
Auguro la buonanotte a tutti e mi dirigo mogio mogio lungo il corridoio. Sto per aprire la porta della camera, quando mio fratello mi chiama urlando: «Emanuele, Emanuele, vieni! Ho visto un’ombra fermarsi sul balcone!»
I piedi volano sul pavimento. Una lacrima mi riga il volto. Lo sapevo che mi avrebbe trovato. Ma la gioia si spegne non appena apro la porta che dà sul balcone: niente Babbo Natale, niente regali, solo buio e freddo. Rimango impietrito per qualche secondo, e a nulla valgono le scuse di mio fratello. «Ti giuro, mi sembrava lui» continua a ripetere.
Scoppio a piangere. Non può essere successo. Alla fine, non mi ha trovato. Si è dimenticato di me. Per qualche minuto sono inconsolabile, e l’ultima cosa che voglio è andare a dormire. Solo mamma e papà riescono a convincermi, suggerendomi che forse non mi ha ancora trovato perché si è perso. «E da qui a Gemona ce n’è di strada, non ricordi?»
Annuisco tra un singhiozzo e l’altro. Gli occhi gonfi di pianto.

«Mamma, papà!» urla mio fratello facendomi prendere un colpo. «La finestra in camera è aperta!»
Avete presente lo scatto di un leopardo affamato? Ecco, hai una vaga idea di come sono arrivato in camera. La finestra è aperta, qualche fiocco di neve si posa sui piumoni.
«Ma non ci sono i regali!» urlo verso mio fratello, ancora intento a guardarsi attorno. Non posso crederci, mi ha fregato un’altra volta.
«Avete guardato dappertutto?» suggerisce papà dall’uscio.
Apriamo gli armadi, i cassetti, guardiamo sotto la scrivania. Niente. Ho quasi perso le speranze, ma d’istinto mi inginocchio, sollevo un lembo del piumone e davanti a me, nella penombra del mio nascondiglio preferito, c’è la più bella, la più colorata, la più di tutto scatola di macchinine che avessi mai visto.

Ce l’hai fatta, caro Babbo, sei riuscito a trovarmi.
In fondo, a pensarci, la posta aerea è una gran cosa.
Adesso scusa, ma devo giocare con le macchinine nuove.

Ovvio che per un bambino Natale è sinonimo di regali. Mentre scrivevo, però, mi sono accorto che quella notte mi è stato fatto un regalo molto più grande: un ricordo che riesce ancora a farmi sorridere.

E.

(soundtrack: Frank Sinatra – Santa Claus Is Coming To Town)

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