Normokiller

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L’altra sera ho immaginato di uccidere la mia ragazza. Mi aveva appena chiesto di asciugare i coltelli da carne, uniche stoviglie che lava a mano. Ho afferrato l’asciugamano, sbuffando. L’operazione non mi avrebbe rubato più di un minuto, tuttavia volevo solo chiudermi in studio. Dovevo scrivere, non certo occuparmi dei lavori di casa.
Una volta preso il primo coltello, mentre passavo la lunga lama tra due lembi di tessuto, mi sono chiesto come sarebbe stato infilarlo in quella carne morbida. Una coltellata veloce, ritraendo la lama subito dopo, senza indugio.
Giusto una frazione di secondo, e mi sono ritrovato a fissare il suo viso scolpito dalla sorpresa, le labbra a forma di O, gli occhi sgranati, quella sfumatura nocciola che tanto amo si stava rapidamente venando di rosso. Mille domande mi investirono in pieno, senza che queste potessero trovare le parole per uscire dalla sua bocca. Il tempo che una lacrima le rigasse la guancia, e il corpo è caduto a terra. Il coltello ancora nella mia mano destra, l’asciugamano nell’altra, una goccia di sangue si unì alle piastrelle bianche ormai ridotte a un lago vermiglio. Altro che studio, avrei dovuto pulire ‘sto macello.
Mi sono sentito subito una merda. Ho finito di asciugare le mie competenze per poi riporle nel cassetto. Lei, ignara, ha sollevato il tagliere per poggiarlo nello stretto spazio tra lo scalino del lavandino e la parete. Un ottimo modo per asciugarlo senza che il legno trattenesse l’umidità e si piegasse.
«Finito!» Una parola che suonava come un trionfo.

Ci penso anche ora, seduto sul cesso. Meriterei di fare compagnia ai miei stronzi, laggiù. Scivolare giù dallo scarico e navigare in un mare di liquame nero. Oppure venire pestato da un passante troppo occupato per guardare dove mette i piedi. Nemmeno una mosca mi avrebbe degnato della sua fame, tanto facevo schifo.
«Vieni a darmi un bacino?» Mi chiama dall’altra stanza.
Io mi alzo, tiro l’acqua. Destinazione bidet.
Una volta in sala, la trovo sul divano. Il corpo steso per lungo. Le labbra chiuse protese in avanti. Le do quello che vuole.
«Vai in studio anche stasera?»
«Sì, amore. Devo scrivere.»
Mi spiace lasciarla sola per l’ennesima volta, ma non posso tralasciare quel po’ di disciplina che sono riuscito a impormi dopo mesi e mesi di inattività.
Le lascio un altro bacio, poi mi volto e percorro il corridoio. Una volta in studio, accendo la lampada sulla scrivania. Apro le finestre. Caldo soffocante, l’estate è arrivata.
Luce bianca dallo schermo del mac. Spotify aspetta la mia scelta. Seleziono una canzone, avvio il word processor. Quando si apre la finestra, sono già in posizione: piedi sulla scrivania, tastiera sulle ginocchia.
È ora di esorcizzare la merda, penso mentre inizio a picchiare sui tasti.

E.

(soundtrack: Eminem – Cleanin’ Out My Closet)

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