
skkstories_17
Lo ricordo. Era la prima settimana di prima superiore. Un momento storico.
L’esame di terza media aveva sancito il passaggio. Sebbene non avessi ancora 14 anni, entravo ufficialmente nell’età adulta. O, almeno, questo era quello che pensavo all’epoca. Tanto la fine definitiva della scuola era un miraggio, l’università non sapevo nemmeno cosa fosse. Cinque anni erano un’eternità, così lunghi che non avevo la forza di pensarci.
Quell’11 settembre ero tornato a casa abbastanza tranquillo. Non ero granché stanco. Era stato un inizio soft. I primi giorni erano, più che altro, un lungo e lento percorso di orientamento che serviva, a me e ai miei nuovi compagni di classe, a inquadrare meglio le cose: non sei più alle medie, non sei più nella cerchia dei “grandi” (grazie alla quale anche il più sfigato era riuscito a limonare), occhio a quello che fai, le cose sono molto più serie ecc. Era anche già comparso il fantasma degli esami di Stato ma, come ho già detto, era qualcosa di indefinito all’orizzonte.
Mamma tornò al lavoro subito dopo pranzo. Un saluto veloce e mi misi a fare i pochi compiti che mi erano stati assegnati. Un’oretta nemmeno e c’era tutto il tempo di fare altro.
Mi stesi sul divano e accesi la tv. Il tubo catodico si scaldò e l’immagine che comparì fu quella di due torri. Da una delle due si alzava una pesante fumana nera. “Uff, senz’altro una schifosissima serie a episodi”, pensai giudicando la qualità dell’immagine. Pigiai il tasto P+ sul telecomando. Tmc e Tmc2 mostravano le stesse immagini. Una volta arrivato a MTV, decisi di fermarmi. C’era qualcosa che non andava.
Alzai il volume. Il cronista parlava di fiamme, fumo, morti, aerei, cercando di tradurre per quanto possibile le voci in sottofondo. All’improvviso, un urlo: un aereo di linea si era schiantato sulla seconda torre.
Non riuscivo a muovere un solo muscolo. Gli occhi, aperti, bruciavano, ma non riuscivo a sbattere le palpebre. Non potevo perdermi nemmeno una frazione di secondo di ciò che stavo guardando.
Un cambio di inquadratura rivelò che anche il Pentagono era stato attaccato. New York, Washington. Un quarto aereo si era schiantato da qualche parte in Pennsylvania.
Ricordo che assistetti al crollo delle Twin Towers. Il respiro mozzato. La pancia faceva male. Brividi fino alle punte dei piedi.
Ricordo tutto, sì, ma più di ogni altra cosa la faccia di mio papà una volta tornato a casa. Lavorava alla NATO, in centro a Verona. Quel giorno aveva fatto tardi. Eravamo già pronti per la cena, ma lui mancava. Mamma aveva provato a chiamarlo in ufficio – niente cellulari, ancora – ma senza riuscire a prendere la linea. I telefoni, dentro la caserma, squillavano all’impazzata. Impaziente, girava da una stanza all’altra sempre tenendo d’occhio il viale.
Lui si presentò all’incirca verso le 20.30-21. Gli occhi fuori dalle orbite, i capelli scompigliati e il nodo della cravatta mezzo sciolto.
«Scusate, ma eravamo in allerta. Hanno già messo tutto in sicurezza.» Ogni base americana, in tutto il mondo, aveva ricevuto lo stesso ordine: allarme rosso.
Mamma tacque, nessun rimprovero. Silenziosa, lo abbracciò. Ora, entrambi, stavano bene.
E.
(soundtrack: Neil Young – Rockin’ in the Free World)