Elogio dell’ignoranza

Quando i media hanno dimenticato il centro: comunicare decodificando

Pensala pure come vuoi, ma sono certo di una cosa: sono stufo di guardare le TV e sentirmi un genio.
La mia non vuole essere immodestia — magari lo fosse — ma pensa anche solo per un istante a cosa sei abituato a sorbire ogni giorno. Concorrenti che sbagliano le date storiche basilari, congiuntivi che lasciano il tempo che trovano, schiere di bicipiti e seni senzienti la cui unica aspirazione e farsi riprendere mentre defecano in una toilette sorvegliata da un grandangolo, amori da copione che trovano sublimazione su un trono. E ancora: casalinghe dedite al risparmio sulla spesa, banchi dei pegni teatri di appassionanti tragedie, complotti e misteri storici più intricati della fantapolitica firmata Clancy. Il tutto accompagnato dal classico talk show politico — presentato come “d’attualità”, ma di fatto incentrato sul conflitto destra/sinistra — durante i quali schiere di giornalisti e deputati più o meno famosi cercano di esprimere un’opinione a suon di schiamazzi, insulti e teatrini degni delle migliori compagnie d’avanspettacolo (tra cui Pomeriggio Cinque).

So benissimo di aver descritto neanche la metà dei format che ci ammorbano, ma tanto basta per aiutarmi a rendere l’idea dell’effetto devastante che tutto ciò ha provocato: lo spettatore viene indotto a sentirsi molto più intelligente rispetto alla controparte mediatica. Uno dopo l’altro, presentatori e presentati, sono intenti a elogiare l’opinione dello spettatore. «Tu sai! Tu conosci! Dicci la tua! Interagisci con noi!». Un atteggiamento che, infine, si riflette sui social network e sulle iterazioni “dal vivo”. Si viene portati a credere che la propria opinione, in quanto tale, sia sempre legittima e degna di essere resa nota.
Un cancro che ha infettato anche il mestiere di giornalista, il quale non sembra più avere la funzione di chiave di volta utile per mettere insieme i pezzi degli eventi che ogni giorno scombussolano la specie umana. È tutto un palcoscenico, in cui le urla di una folla colpita da una bomba diventano meri «effetti audio da riascoltare» (citando SkyTG24 a proposito del recente attentato di Manchester) e nel quale prevale il narcisismo dell’opinione sulla realtà dei fatti.

Scusami tanto, ma io non ci sto più. Rivoglio una televisione che mi insegni ciò che non so (tanto). Voglio dei media che mi facciano sentire ignorante, tanto da invogliarmi a studiare e approfondire un dato argomento. Voglio personalità che facciano del confronto una ricchezza, non uno scontro. Voglio sbagliare, voglio aver torto, voglio imparare al meglio la mia lingua e, perché no, molte altre ancora. Voglio partecipare meno, ma apprendere di più.

Per una volta, voglio urlarlo al mondo: beata ignoranza!

E.

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