
Quella che ti racconto oggi è una storia particolare, tra monumenti e storia.
Preambolo
Gennaio 2020. Io e la mia compagna approfittiamo delle vacanze natalizie per passare qualche giorno nella nostra amata Budapest.
Dopo aver passato un’oretta immersi nel monumento Scarpe sulla riva del Danubio, raggiungiamo il Parlamento. Una volta ammirata la sua straordinaria architettura ci spostiamo in Szabadság tér (Piazza della Libertà), il cui parco è caratterizzato da un monumento sovietico e dalle statue dedicate a Ronald Reagan e Harry Hill Bandholtz (quest’ultimo un rappresentante degli Stati Uniti impegnato nella missione militare inter-alleata in Ungheria al termine della Grande Guerra). Attraversiamo il parco in direzione sud per raggiungere la Szent István Bazilika (Basilica di Santo Stefano), arrivati sul lato opposto ci imbattiamo in un monumento che non ricordavo – il che mi viene confermato dal fatto che la sua installazione sembra essere relativamente recente. Un colonnato in rovina, una statua che rivolge verso l’alto lo stemma ungherese, un’aquila pronta a ghermirlo. Non capendo la lingua, non riesco a decifrare l’incisione in lettere capitali: «A NÉMET MEGSZÁLLÁS ÁLDOZATAINAK EMLÉKMŰVE». Tuttavia, sul lato destro del colonnato, incisa su un muretto, è presente un’iscrizione in più lingue (comprese ebraico e russo): «In memory of the victims».
Notiamo che sul lato opposto della strada, di fronte al monumento, è presente una catena a cui sono attaccati alla rinfusa foto e testi protetti in buste di plastica. Paralleli alla catena, al suolo, sono posti vecchi indumenti e utensili, ancora foto e sassi accatastati l’uno sull’altro.
I testi sono in almeno 10 lingue. Individuati italiano e inglese scopriamo l’arcano.
«Di fronte potete ammirare la statua dedicata all’innocente Ungheria (nelle fattezze dell’Arcangelo Gabriele) come vittima della Germania nazista.
Questa bugia storica perpetrata dal governo ungherese di estrema destra ha spinto i cittadini a dare vita a questo lato: la Live Memory Exhibition.
Il governo è stato sì coraggioso nel falsificare i fatti storici, ma codardo nel rivelare il monumento, il quale mostra ironicamente ciò che successe realmente tra il 1940 e il 1945: l’Ungheria offrì il Paese volontariamente ai nazisti (sperando di poter recuperare i territori persi in precedenza). Le due guerre mondiali perse hanno lasciato all’Ungheria una piccola porzione di territorio e circa un milione di ebrei ungheresi assassinati.
È stato il governo ungherese di allora a deportare i suoi cittadini di religione ebraica nei campi di concentramento. L’arcangelo Gabriele – la Chiesa – appoggiò la cosa.
[Gli estremisti antisemiti hanno vandalizzato questa esposizione diverse volte, ma questa verrà sempre ripristinata. I nostri precursori sono sopravvissuti al regime nazista, noi sopravviveremo agli attacchi dei nostri compatrioti illiberali.]»

Scorrendo i vari testi presenti, veniamo a conoscenza della storia del monumento.
Il governo ungherese guidato da Viktor Orbán ha voluto rendere onore alle vittime ungheresi dovute all’occupazione nazista dell’Ungheria. Fin qui tutto bene, peccato che la simbologia presente sia quanto meno controversa e atta a cancellare le responsabilità ungheresi nell’Olocausto. L’Ungheria, infatti, viene rappresentata come la vittima di un’aggressione, in totale controtendenza ai fatti storici. Il governo di allora non venne aggredito, ma offrì spontaneamente il territorio nella speranza di riconquistare le terre perse in seguito alla sconfitta subita nella Grande Guerra. Le truppe tedesche non dovettero sparare un solo colpo mentre sfilavano per la capitale, anzi vennero accolte con tanto di applausi e fiori. In tal senso, è chiara e documentata la collaborazione ungherese nell’individuazione, deportazione e assassinio di cittadini di religione ebraica. In questo senso, quindi, il tutto avrebbe lo scopo di assolvere gli ungheresi dalle colpe dell’Olocausto. La produzione stessa del monumento suscitò così tanto scalpore da costringere il governo ad allestirlo di notte con la protezione della polizia.
Le foto e gli oggetti presenti sulla catena sono testimonianze del terrore. Foto di bambini, donne, uomini, una scarpa consumata, una valigia di cartone, un pettine storto dal tempo, sassi in memoria delle vittime. Un’installazione che si unisce alle Scarpe sulla riva del Danubio, la testimonianza del massacro di cittadini ebrei compiuto dai miliziani del Partito delle Croci Ferrate ungherese. Volti e oggetti che ti guardano, ricordando le violenze subite.
Il presente
Dopo questo doveroso preambolo, voglio dedicarmi al tema legato ai monumenti e al loro abbattimento.
In seguito alle proteste scaturite dall’uccisione di George Floyd è tornata alla ribalta la questione se sia giusto o meno rimuovere i monumenti raffiguranti figure o ideali appartenenti a un passato controverso. È il giusto modo per prendere le distanze da crimini e soprusi appartenenti a un determinato periodo storico?
Per come la vedo io, la risposta è no.
Un monumento è una testimonianza. Abbatterlo o imbrattarlo è come bruciare un libro, ossia cancellare il tempo. Può essere abbattuto in quanto oggetto celebrativo, certo, ma non come rappresentazione del passato. Un discorso che si potrebbe allargare ai campi di sterminio, i cui reticoli e camere a gas hanno il dovere di ricordarci i crimini compiuti. Dovremmo raderli al suolo in quanto luoghi “maledetti” o solo perché alcuni idioti li vedono ancora come una sorta di Disneyland? Dovremmo bruciare tutte le copie del Mein Kampf? No, perché sono un memento.
La cancellazione della storia, in genere, è pratica dei dittatori, i quali non ci pensano due volte a tirare una riga su quanto presente prima di loro.
Un discorso diverso può valere per quelle installazioni il cui intento è quello di riscrivere la storia secondo quanto fa più comodo all’ideologia di turno (vedi il monumento menzionato sopra o comunque il prodotto di una dittatura). Qui ci viene in aiuto il Memento Park di Budapest, un museo all’aperto nel quale sono presenti tutte le statue del periodo comunista rimosse in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica. Monumenti rimossi, certo, ma che ricevono comunque il dovuto rispetto in quanto testimonianze storiche. Un modo per distanziarsi dalla distruzione del libero pensiero tipica di ogni regime dittatoriale.
Riflettiamoci su.
E.