Scelta di linguaggio: problema o criticità?

Quando la scelta di una parola va oltre il suo significato

«Qui abbiamo deciso di abolire la parola ‘problema’. Noi non affrontiamo problemi, ma criticità.»

Durante gli anni universitari collaborai con una redazione per la quale il vocabolo ‘problema’ era, di fatto, un problema, o meglio una criticità (perdonatemi il gioco di parole). La motivazione alla base di tale scelta mi venne spiegata nei seguenti termini: ‘problema’ darebbe un’idea troppo negativa, mentre ‘criticità’ è molto meno stressante.

La cosa non mi fece né caldo né freddo, se devo dire la verità, e non ebbi problemi (ops, criticità) ad adeguarmi. L’entusiasmo di un laureando in Editoria e Giornalismo catapultato in una vera redazione può fare questo e altro. In seguito ad alcuni studi eseguiti sul problem solving e le dinamiche aziendali in generale, poi, è emerso che il vocabolo ‘criticità’ viene davvero utilizzato come sostituto di ‘problema’; situazione che spesso avviene quando ci si addentra nella DMAIC (Define, Measure, Analyze, Improve and Control) e nelle altre metodologie riguardanti il processo che prende il via a partire dall’individuazione di un problema (ops, criticità).
Tutto molto interessante e “fico” per uno studente. Tuttavia, a distanza di qualche anno, eccomi qui a rifletterci su.

Che cosa ha davvero spinto un scelta tale? Sarà forse che ‘problema’ riporta alla mente le noiose lezioni di matematica durante le quali la preoccupazione maggiore sembrava essere quante mele mi trovassi in mano dopo averne mangiate un dato numero, mentre criticità dà più l’idea di un linguaggio giovane e frizzante? Può darsi, ma non può davvero finire qui.

È solo una questione legata all’idea che si crea attorno alla parola o c’entra la sua correttezza?

Per affrontare a dovere il discorso trovo sia d’uopo partire dal dizionario online gentilmente offerto da Treccani.it (vero salvataggio nei casi limite).

problèma s. m. [dal lat. problema -ătis «questione proposta», gr. πρόβλημα -ατος, der. di προβάλλω «mettere avanti, proporre»] (pl. -i). — 1. Ogni quesito di cui si richieda ad altri o a sé stessi la soluzione, partendo di solito da elementi noti. […] 2. In scienze e discipline che non procedono (o non procedono necessariamente) con calcoli matematici, quesito di cui si richiede a sé o ad altri la soluzione, da raggiungere seguendo un procedimento di natura assai varia. […] 3. Nell’uso com.: a. Qualsiasi situazione, caso, fatto che, nell’ambito della vita pubblica o privata, presenti difficoltà, ostacoli, dubbi, inconvenienti più o meno gravi da affrontare e da risolvere. […] b. Per metonimia, persona dal carattere chiuso ed enigmatico, con la quale è molto difficile avere a che fare.

criticità s. f. [der. di critico]. — 1. Generalm. al sing., condizione critica, carattere critico. […] 2. Con uso più recente, nel linguaggio politico e giornalistico, singolo problema, singola situazione critica.

Problema. Criticità.
Qual è, quindi, il termine più corretto? Quale il meno angoscioso?

Volendo partire dal significato puro, scostandoci dall’uso comune riportato al punto 3, ‘problema’ pare essere il vincitore della diatriba. Stando a quanto riportato dalla Treccani, infatti, tale termine denoterebbe non solo la proposta di una sfida da risolvere per la quale l’impegno e un buon lavoro di squadra sono fondamentali, ma implicitamente recherebbe con sé il raggiungimento di una soluzione. L’idea che quanto si sta affrontando è una proposta stimolante, utile alla propria crescita professionale e per la quale soluzione il lavoro sarà tanto ma piacevole. Un concetto positivo in modo straordinario, parlando di lavoro d’ufficio.

Contrariamente, ‘criticità’ porta con sé una forte accezione negativa. Il termine ‘critico’, oltretutto, è indicazione di «un esame severo e non sempre spassionato né benevolo», senza menzionare il suo essere «in relazione con una crisi, perciò grave, difficile, pericoloso».
È anche vero, però, che ‘criticità’ si collega alla ricchezza che solo un esame critico e attento di una particolare situazione può aiutare il raggiungimento di una soluzione.

Per farla breve, non è tanto una questione di quale sia la locuzione più corretta — lo sono entrambe— ma quale sia, in definitiva, la meno angosciosa.

Personalmente, trovo che ‘problema’ sia la vincitrice. La ritengo migliore anche dal punto di vista dell’armoniosità sonora. Tuttavia, per quanto riguarda scelte simili, la percezione del singolo fa da padrona. E se all’interno di un’azienda il boss decide una cosa, quella cosa si fa. Con alcuni principali è più possibile discutere al fine di trovare una accomodamento, ma la decisione spetta comunque a una persona sola. Fine.
Basta che poi, dopo aver letto questo post, non ti venga in mente di utilizzare il dannatissimo «assolutamente sì».

Ergo, non c’è un vero e proprio vincitore. Ciò che conta davvero è saper motivare le proprie scelte, esserne quindi pienamente consci anche dal punto di vista del linguaggio. E quest’ultimo è un fattore fondamentale nella comunicazione aziendale, sia interna che esterna.

E tu hai mai avuto esperienze simili? Se sì, segnalamele.

E.

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