
Se sei uno scrittore, passare un po’ di tempo dalla parrucchiera può essere un’esperienza esaltante.
Sì, sono un uomo. Eterosessuale, pure. E vado dalla parrucchiera. Dio mi scampi da quei macellai dei barbieri.
Ogni volta, tra attesa passata seduto su un comodo divanetto con alle spalle un termosifone (‘tacci loro…) e taglio, passa almeno un paio d’ore. Per questo scelgo sempre il sabato mattina, le ore migliori della settimana.
Di solito mi diverto anche a sfogliare riviste come GENTE, Di Più Tv e Oggi. Fa parte del folklore locale, suvvia. E poi fa sempre bene tenersi aggiornati sulla stampa “popolare”, così da imparare a evitare impaginazioni dai colori improponibili (ma quant’è bello il bianco e nero) e tenere sempre bene a mente le caratteristiche che non deve avere un buon articolo (#PatataBollente).
Questa volta non ho visto il carrello (sì, avete letto bene) delle riviste, né mi è stato offerto un caffè per addolcire l’attesa. Poco male, ho passato il tempo ad ascoltare le conversazioni che animavano il salone. Il risultato è questo tweet:
Memore di una conversazione tenuta ieri sera con la mia cara amica Giulia, mi sono trovato a vedere le persone attorno a me come l’esempio perfetto del “social network nella vita reale”. Chi si applica filtri in faccia per apparire più piacente, chi racconta tutto quanto accaduto in settimana, chi non commenta ma mette un “mi piace” e, infine, chi ascolta senza fine, sapendo di offrire una buona piattaforma di discussione.
Il tutto si è tradotto in una riflessione: l’immediatezza della comunicazione contemporanea.
Non mi sono mai trovato a mio agio con l’immediatezza.
Certo, mi trovo benissimo con Twitter e la sua idea di velocità, ma non condivido molte delle teorie che circolano da qualche anno a questa parte su social e comunicazione. Strategie basate su copertura organica, tempi ristretti, numeri di parole e righe.
Per come la vedo io un buon testo è un lavoro che richiede sì il giusto tempo per la fase di ideazione, ma anche la giusta lunghezza. Tutto ciò, ovviamente, dipende dal tipo di narrazione che si vuole mettere in atto, dallo scopo che vogliamo raggiungere e, soprattutto, dal soggetto che vogliamo raccontare.
In questi ultimi tempi accade il contrario: ogni tipologia testuale viene striminzita ai minimi termini in nome dell’immediatezza. La parola viene ridotta a pura immagine, togliendole il senso di riflessione che da sempre l’accompagna. E tutto perché si vuole colpire l’utente, mantenerlo in uno stato di frenesia tale che si riduce alla condivisione istintiva, priva di comprensione. Un gesto meccanico. Si perde lo spirito, la meraviglia della lettura.
Vi lascio con un consiglio: quando avete tempo, cari narratori moderni, passate un paio d’ore dalla parrucchiera; e fate bene attenzione a lasciare lo smartphone nella tasca della giacca. Il tempo si fermerà, le parole prenderanno il volo verso i lidi sconosciuti del pettegolezzo, del personal storytelling, della condivisione attraverso il commento — compiaciuto o meno — di quanto si sta udendo.
Ripartiamo dalla parrucchiera, mi verrebbe da dire.
Un buon motto, non c’è che dire. Molto “popolare”. Un po’ come Oggi.
E.